• Ruhr - Gelsenkirchen & Oberhausen, piogge e orizzonti baltici
    Jun 25 2024
    Cominciò così, un po’ per scherzo, un po’ per frustrazione, in un 1904 in bianco e nero, calciando una palla tra le mie vie, quelle di Gelsenkirchen spesso vuote, fredde e piovose. Un manifesto sulle porte dello stadio annunciava la prossima partita. Uno di loro, un po’ per frustrazione, ma senza nemmeno scherzare troppo, tirò fuori una penna, cancellò il nome di una delle squadre e scrisse quella della sua e dei suoi compagni: Westfalia Shalke. Poi, ovviamente, se ne andò scappando appena lo videro, in fondo erano dei ragazzi. Un gruppetto, questo, che amava il calcio, tanto, tantissimo, ma i documenti non raggiungevano la maggiore età, e quindi nessuno li accettava. E fu da lì che cominciò, un po’ per orgoglio, un po’ perché c’era troppa energia nell’aria, l’avventura dello Shalke 04, la squadra di Gelsenkirchen, ospitata prima nella Glückauf-Kampfbahn, “l’Arena della Felicità”, il primo stadio, per poi spostarsi, nel 1973, al Parkstadion e, infine, nell’attuale Veltins Arena, giusto a inizio millennio. Nello stesso periodo in cui si calciava quella palla, tra le pareti bagnate delle vie, tutti quelli che non seguivano il calcio in città, non molti, ma sapete, comunque c’erano, si trovavano a condividere quella sensazione galvanizzante: loro, però, erano invece eccitati di vedere le terre distanti e i ponti del Mare del Nord, che grazie al nuovo canale tra il Reno e la Herna erano semplicemente a un biglietto di distanza. Confini ridefiniti, mappe che si rimpiccioliscono. Palpiti e tremolii. E l’industria, signori e signore, l’industria: da quando avevano aperto la ferrovia da Colonia a Minden, nel 1847, tutto era cambiato, si era persino scoperta la pietra nera che brucia, proprio qui sotto, nel mio terreno, a Gelsenkirchen! Sapevo anche di un’altra città, non molto distante, che era proprio scoppiata con questa storia di estrarre materiali dalla terra. Si chiamava, vediamo, se non sbaglio, ah sì, Oberhausen. Lì c’era un’azienda grossa, molto grossa, che da sola ha fatto crescere tutta la zona. Quest’azienda qui, la GHH, ha poi creato talmente tanti edifici e uffici e magazzini, che per forza alcuni poi sarebbero rimasti vuoti. E Oberhausen cos’ha fatto quindi? Li ha riusati come spazi espositivi ed eventi, e sì, anche feste. Soprattutto il gasometro, il piú grande dEuropa, abbattuto nella guerra e ricostruito poi, e anche lì oggi si fanno molte esposizioni, sembra quasi un teatro, con quelle sue gradinate che tengono fino a 500 persone. Pazzesco. Qualcosa di simile l’ho fatto anch’io, non per vantarmi: il Parco Nordstern era infatti un’importantissima miniera, poi quel periodo finì, e ora si è trasformato in un importantissimo parco paesaggistico. Lo si può vedere in tutto il suo splendore dall’alto, e più precisamente dalla Torre Nordstern, vicino all’Ercole di Gelsenkirchen, una barba blu e un fisico non propriamente eroico, ma comunque simbolo è e rimane. E mi chiedo, mi chiedo io, Gelsenkirchen, se, fosse ancora vivo, cosa direbbe Rutger von der Horst di quell’Ercole, dal suo castello lì vicino, lui che incarnava, a movimenti e parole, il nuovo aristocratico, politico certo, ma anche umanistico, sensibile, durante quel Rinascimento tedesco così particolare e vivace. Era maresciallo, sapete, di Colonia, sì sì, la moglie Anna ne parlava in giro molto bene, era così orgogliosa. Me lo chiedo, ma sono domande un po’ ballerine, lo so, perché qui da me, Gelsenkirchen, nessuno è abituato a guardarsi indietro, si pensa solo a migliorarsi. Capita la stessa cosa quando vedo le biglietterie del primo stadio dello Schalke, invecchiate dal tempo e le intemperie, e mi rifugio per qualche minuto nei ricordi di quei cuori che battevano così bene, così all’unisono, mentre tiravano una palla bagnata in giro per la città, già immaginando i colori delle future magliette. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Ruhr - Bochum & Bottrop, tra melodie e piramidi
    Jun 25 2024
    I canti nascono tra radici e terra, miceli e pietre, percorrono le lunghe gallerie scavate negli anni alla ricerca della pietra nera, risalgono, vibra il corpo, le casse toraciche si alzano in sincronia, la voce arriva dallo stomaco e, tutte insieme, intonano melodie per la comunità, la patria, e per me, Bochum, la loro città. L’ultima settimana di aprile, qui, si festeggia. Non è una sagra di paese, dove si va per noia a guardarsi intorno, no, qui la Maiabendfest è un’istituzione che dura ormai da 600 anni: parate popolane dove il blu e il bianco coprono il tutto come un grande telo, tra cavalieri, birra e ricostruzioni storiche. C’è una linea, in queste tradizioni, che si trova indietro, molto indietro nel tempo, in un luogo imprecisato, e superata quella linea la realtà perde valore, i fatti sfumano, e ciò che rimane sono racconti, narrazioni. Quelle della festa di maggio risalgono a un furto di bestiame, la città di Harpen che chiede aiuto e i miei abitanti che rispondono. Ladri cacciati e il conte Engelbert III, che promette una quercia dal proprio bosco, ogni anno, per festeggiare quel giorno eroico. Per 600 anni si sono tagliate querce, anche quando la memoria di quel giorno andò persa, anche quando la tecnologia arrivò, deliziosa e tellurica, quando s’iniziò a scavare perché si diceva che qui da me, Bochum, la pietra nera c’era, e se c’era bisognava tirarla fuori. Tutta la zona della Ruhr lo sta facendo, dicevano. Si scavò, si estrasse, i canti riempivano i tunnel e la mia identità cominciò a specchiarsi su costruzioni d’acciaio e unghie sporche di carbone. Tanto carbone che, negli anni, qualcuno cominciò a collezionarlo: volevano ricostruire la storia del mondo attraverso i minerali, dicevano, e pian piano arrivarono a costruire un Museo Minerario, e da didattico il processo divenne nazionale, fino ad arrivare alle orecchie di tutto il mondo. Il suo edificio, tra l’altro fu costruito dai grandi Schupp e Holzapfel. Si costruì, tanto, ma tra i vari edifici, quello che mi impressionò di più fu la Jahrhunderthalle, un vero e proprio monumento d’architettura industriale, quasi sacra, con le otto capriate ad arco in acciaio, immense vetrate, bulloni in vista che si arrampicano sulle travi. Una vera e propria cattedrale, nata più di un secolo fa per l’Esposizione industriale e commerciale di Düsseldorf, trasformata, smontata e ricostruita qui da me, a Bochum, ampliata e utilizzata come centro produzione gas, oggi ospita festival, grandi eventi e sì, anche i canti passano da qui. Perché le melodie sono dappertutto, possono viaggiare per mare e sottoterra, a volte arrivano, rimbalzano in maniera strana, creano nuovi suoni e tornano indietro, arricchite. Lo so perché mi è successo, si è creata quella connessione tra me, Bochum, e la cittadina di Bottrop, poco distante; un giorno i canti arrivarono proprio là, in una discarica, e in mezzo videro una piramide sospesa, galleggiante. Si fermarono, aspettarono la notte e lo videro illuminarsi, il Tetraedro! che spettacolo. Allora vi si arrampicarono, videro inciso il nome del creatore, Wolfgang Christ, passarono sulle passerelle fino alle piattaforme più alte, e là c'era un panorama, wow, perché scendere, quando da qui si può vedere tutto, persino Duisburg? Poi alla fine scesero, i canti, perché non sanno stare fermi, tornarono da me, Bochum, e mi raccontarono tutto, della piramide, delle pietre e dei miceli; io sorrisi, e li lasciai andare, entusiasti, ad arricchire altre città, vedere altri minerali e, in sintonia, far vibrare altri corpi. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Ruhr - Duisburg, jazz e la Montagna Magica
    Jun 25 2024
    Sono vittima della Luna, della sua attrazione, le spinte e il magnetismo che rubano l’attenzione. Inseguo le acque, che durante la storia mi hanno dato e tolto, e con cui ora ballo in equilibrio, a passo lento, abbracciate. Sono Duisburg, incrocio di commerci e promesse, addii che rimbalzano, nascosti, tra le soffitta del palazzo reale, seppellito sotto il municipio. Nel mio porto sul Reno, navi scandinave e galee portoghesi si scambiavano le merci fin dal Medioevo, uno splendore testimoniato dalle mura della prima cinta e dagli sfarzi della Lega Anseatica, regina all’epoca di quelle onde baltiche. Poi il Reno cambiò il suo corso, trovò un nuovo letto e io mi ritrovai a inseguire, lanciata in una competizione con l’altro porto, quello di Ruhrort, mentre nelle mie terre i commercianti venivano sostituiti dai contadini. Un po’ mi brucia ammetterlo, sapete, l’orgoglio, però mi fece bene la competizione, mi aiutò a crescere e riprendermi dal tradimento di quelle acque. Arrivò in seguito l’era dei depositi, rocce nere nascoste che all’improvviso vennero ritrovate qui da me, a Duisburg, ma anche a Walsum e Hamborn, su a Nord. Si aprirono molte miniere, profonde e a cielo aperto, un secolo di polvere nera e guance imbrattate. Poi, la crisi del minerale e le zone industriali che invasero le vie, la crisi del lavoro e persone che, da tutta la Germania, occuparono le case, o meglio, i Bullenklöstern, complessi residenziali, colonie, alloggi di massa per operai. Di quel tempo, rimangono pochi ricordi e molte foto, documenti, testimonianze architettoniche come l’ex acciaieria Thyssen, salvata dai cittadini e trasformata, grazie al progetto Emscher, in una zona ricreativa, dove il ronzio delle macchine è stato sostituito da concerti jazz, festival teatrali e cinema all’aperto, mentre durante la notte si trasforma in una danza di luci e colori grazie all’opera dell’artista inglese Jonathan Park. Un destino simile ha benedetto anche l’ex acciaieria Meiderich, una volta famosa come la “Farmacia della Ruhr”, e trasformata poi in un parco paesaggistico, Duisburg Nord, tra arrampicate e acrobazie nel vecchio bunker minerario, tuffi a braccia aperte nei 13 metri dell’ex gasometro, ora riempito d’acqua, e prove d’equilibrio sulla fune alta della sala 2 di colata: dalla cima si ammira il parco, opera del paesaggista Peter Latz, che ha voluto donare un luogo su cui meditare e interpretare, ognuno alla sua maniera, il susseguirsi tra un passato industriale e un presente, o un futuro, fatto di spazi verdi e comunità. Un’opera mostruosamente affascinante, dove molti rivedono le sembianze di una Metropolis di Fritz Lang, altri ancora, nell’illuminazione della notte, hanno la sensazione di essere su un transatlantico futuristico. Ricordo a me stessa, Duisburg, quanto sono fortunata, mi guardo intorno, e se a Nord il fascino del cinema conquista e attrae, a sud l’arte si concretizza sotto forma della Tiger & Turtle, soprannominata la Montagna Magica: quest’opera, nascosta sotto le apparenze di una giostra da luna park, si rivela invece una piattaforma panoramica, percorribile a piedi, dove l'entusiasmo si rispecchia, la testa diventa leggera, le mani sudano e non si riesce a trattenere un sorriso. Chiamata così in onore dello storico locale Heinrich Hildebrand, l’opera del duo Mutter-Genth richiama volutamente le forme dell’industria, dando vita a un punto di riferimento per tutta l’area che circonda l’Angerpark. E dal centro io osservo, ascoltando l’infrangersi del fiume sul porto, dove troneggiano giganti di metallo e le imbarcazioni più piccole vengono accompagnate dal vento in un dolce dondolio, osservo il colore che dal tramonto in poi se ne va col sole, lasciando solo quei riflessi lunari, costanti, veraci, riflessi diventati simbolo inconfondibile di leggerezza e casa. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Ruhr – Dortmund e il Muro Giallo
    Jun 25 2024
    Il Muro Giallo è muscoli, calore, fuoco e abrasioni; il Muro Giallo è parte del mio ecosistema, delle vite dei cittadini, condiziona la camminata della gente e i loro ritmi di vita, è parte di me, Dortmund. Quel Muro è intrinseco nella storia che mi ha fatto crescere, ancora prima che la sua casa fosse il Westfalenstadion di quel Borussia che, ai tempi, non militava nemmeno nella massima serie calcistica; no, arriva da molto più distante, dalle tradizioni e la cultura, perché il Muro Giallo è il popolo, sono i muratori, gli operai, quelli che lavorano nelle miniere della Ruhr, tutti tifosi che, ogni settimana, si riuniscono, accomunati da quella maglietta gialla e nera, 80000 voci che non supportano i giocatori, no, quelli passano: supportano la squadra e ciò che rappresenta, la forza che ha sempre trasmesso; in piedi, mai seduti, su quei gradoni di cemento che, uno sopra l’altro, formano un angolo di 37 gradi e che quando è pieno, sì, sembra proprio un muro, alto, infinito, invalicabile. La stessa architettura dello stadio richiama la siderurgia, l’acciaieria e le gru dei giacimenti di carbone: un’idea di lavoro aspra ma onesta, nobilitante, e che vuole trasmettere un messaggio ai propri avversari: in questo stadio nessuno è padrone, al di fuori del Borussia e dei suoi tifosi. Giacimenti, sì, come del resto in tutta la regione della Ruhr, e anche qui hanno modellato l’esistenza e forgiato caratteri. Una storia che passa dal Principato di Orange-Nassau e il Granducato di Berg, le nuove ferrovie e le macchine a vapore, giacimenti nascosti, fino a farmi diventare, alla metà del secolo scorso, il centro industriale di tutta la Westafalia, modificando il panorama che si vedeva dalle finestre delle case, dove però non si dava importanza ad altiforni e torri a vento, occupati a litigare per chi stava più vicino alla radio o alla televisione ad ascoltare le imprese del Borussia. E si sa, ci si immagina, che c’è poco che possa battere una birra fredda, in compagnia o al caldo delle proprie mura, dopo ore passate a faticare sotto il suolo. E i birrifici, qui da me, a Dortmund, non sono mai mancati. Artigianali o industriali, sono sempre stati presenti; tra loro, la Dortmunder Union-Brauerai è probabilmente la più famosa. Negli anni “20 era considerata la più grande produttrice, e proprio in quegli anni fece costruire un nuovo edificio per la fermentazione e il deposito. Questi, però, si distinguevano dai precedenti. Erano infatti l’ultima opera del grande architetto Emil Moog Emil Moog, che avevo visto crescere proprio tra le mie vie, qui a Dortmund. Un complesso che, sovrastato dal 1968 dalliconica Dortmunder U, alta nove metri, quasi un secolo dopo, ospita arte e creatività, diventato anche set del regista Winkelmann e delle sue funamboliche installazioni cinematografiche. E sempre nell’ambito artistico, applicato stavolta alla riqualificazione, la miniera di Zollern offre uno degli esempi più significativi del passato industriale tedesco: grandiosi edifici in mattoni, timpani lussuosi e caratteristici elementi dell’Art Nouveau, dove l’ex sala macchine fu il primo edificio a essere classificato come monumento storico. Alle porte della periferia, poi, la fortezza, il Castello di Hohensyburg, in principio cittadella costruita da Carlo Magno, poi roccaforte di difesa per la corte imperiale di Westhofen, oggi museo ai caduti, sotto lo sguardo vigile delle statue del Kaiser Guglielmo, affiancato da Otto von Bismarck e dal conte Helmuth von Moltke. Dalla terrazza panoramica, qui, si gode della vista su tutta la valle della Ruhr, la foce della Lenne e il lago Hengstey compagni e testimoni del mio orgoglio, quello di Dortmund, che insieme a quel Muro Giallo, rappresentano la grandezza di questa città. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Ruhr - Essen, tra cristalli segreti e città proibite
    Jun 25 2024
    Pare che io sia sempre stata una città in grado di custodire. La voce si sparse in fretta. Quando l’imperatrice di Bisanzio venne qui da me, a Essen, promessa sposa di Ottone II di Sassonia, portò con sé un cristallo di rocca, violetto, sorvegliato a vista da guardie alte e more, la pelle color sabbia. Lo consegnò alla nipote, la badessa Teofano, a capo del convento femminile, le si avvicinò e la strinse, sussurrandole qualcosa all’orecchio che nessuno dei presenti capì, e in seguito se ne andò. La pietra finì nella croce della badessa, e ancora oggi è custodita qui, in quello che si è poi trasformato nel duomo di Essen, dove nel tempo si sono aggiunti la Madonna Dorata, il candelabro a sette braccia dell’anno 1000 e una delle collezioni orafe più antiche al mondo. Una qualsiasi fedele, oggi, uscendo dal portone, potrebbe girare a sinistra e trovarsi davanti le figure del carillon Glockenspiel, sopra la gioielleria Pletzsch, che da cent’anni spuntano ogni ora, precise; passerebbe poi davanti all’ottocentesco Grillo-Theater e al più grande, e forse tra i più bei cinema della Germania, il Lichtburg con i suoi 1250 posti a sedere. Vicino alla famosa Piazza del Mercato, che si raggiunge però uscendo dal duomo sulla destra, questa persona potrebbe ammirare la statua di un signore benvestito, la mano sul fianco, una barba lunga ma curata, un’aria da filosofo settecentesco e lo sguardo che non perdona. Alfred Krupp, effettivamente, era una persona molto decisa, ma proprio questa sua caparbietà permise al magnate di costruire quell'impero industriale, e di rendere me, Essen, la capitale dell’acciaio per oltre un secolo. Invidioso delle residenze inglesi, decise di poter fare di meglio. Sulle sponde del lago Baldeneysee, nella seconda metà dell’Ottocento, fece costruire Villa Hügel, 269 stanze, più di 8000 metri quadri di superficie e, quotidianamente, un personale composto da più di 600 persone. Una costruzione che nel tempo si è trasformata in una testimonianza contemporanea della cultura industriale della Ruhr; e proprio qui, nacque un seme, a metà del secolo scorso, che si sarebbe poi rivelato essenziale qualche decennio dopo. Quella che all’inizio era un’ordinaria mostra di eleganti prodotti industriali tra i saloni della villa, negli anni si sviluppò in qualcosa di più grande, qualcosa che andò a riempire il buco lasciato dalla fine dell’era industriale. Ma un attimo, con ordine. Prima, in realtà, bisognerebbe capire dove ha preso forma questo seme, perché i luoghi possono cambiare, certo, ma i solchi rimangono in vista. Era chiamata “la città proibita”, Zollverein, la più grande e bella miniera di carbone al mondo, con 12 pozzi costruiti in rapida successione da quel magnate là, quello caparbio, che passava più tempo qui che nella sua villa. Da me, a Essen, la miniera si era guadagnata quel nome perché nessuno poteva entrarvi, a meno che non fossero operai o tecnici, e che erano comunque tanti, 8000 o giù di lì, se non ricordo male. Poi tutto cambiò, la città proibita chiuse e tutto rimase abbandonato per qualche anno; questo fino a che non arrivarono le radici di quel seme a recuperare lo spazio, vi inserirono parchi, arte, design, insomma, tutto nuovo, tutto bello, tutto vivo, ancora. Nell’ex fornace, oggi, si trova il Red Dot Design Museum, frutto della penna del minimalista Norman Foster, che disegnò la casa di quella che è diventata la più grande mostra di design al mondo. Arte che si trova anche nell’altro grande museo, quello di Folkwang, casa di vari Monet, Cezanne, Rodin, Chagall e molti altri grandi artisti; un museo raggiungibile anche grazie ai vari percorsi di trekking urbanistico che si snodano tra parchi naturali, laghi artificiali, canali e vecchie industrie. Anche qui, la voce si sparge in fretta, le persone vengono e si affidano a me, Essen, alcune portano pietre preziose da luoghi lontani, altre grandi novità o semi rivoluzionari, e io custodisco, mi adatto, forte di uno spirito d’acciaio che non può essere abbattuto. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Ruhr - Arte del vento e oro nero
    Jun 25 2024
    Ho visto cambiare i volti, distendersi, alzare il mento al cielo e respirare a occhi chiusi. Ho sentito come le persone parlavano dei miei abitanti, mormoravano. Hai visto quelli della Ruhr, ora? non più sottovoce, di schiena, ma avvicinandosi, cercandomi. Ho visto il cambiamento, le guance liberate dal carbone e le mani sciacquate dalla salamoia. Un tempo inferno di carbone e acciaio, oggi oasi del verde. La mia storia, quella della zona della Ruhr, comincia con un pastore, dei maiali troppo vivaci e un fuoco che cadde su quella pietra nera esposta, celata per migliaia di anni tra le erbacce calpestate, lì dove secoli prima si muovevano i Celti Raurici. Oro nero e oro bianco, carbone e sale, lacrime e sudore. Dal Medioevo cominciarono a scavare la mia terra, sempre più in profondità, meticolosi. Uno scavo veniva sommerso d’acqua e si passava a crearne un altro. La febbre del carbone. Poi c’erano le sorgenti di salamoia, tante, ovunque. Si raccoglieva l’acqua, si lasciava ad essiccare, e ciò che rimaneva dopo l’evaporazione era più prezioso di un raccolto, più lucente dell’argento. In quelle zone rimane, ancora oggi, l’arte del vento, sistema, allora pioneristico, per accelerare questo processo. Ci furono poi i grandi nomi. Improvvisamente, mi sentii al centro del mondo. Prima lo stato Prussiano, grazie al quale vidi la prima macchina a vapore, poi ci fu la dinastia dei Krupp e i Tissen, con loro le grandi macchine, i gasometri alti centinaia di metri e le cattedrali di ferro. Utopie dell’industrializzazione. “Me ne vado nella Ruhr”, annunciavano persone da tutta la Germania. Chiudevano la valigia, baciavano i cari e arrivavano da me, chi a piedi, chi in treno, altri addirittura a cavallo. Una corsa all’oro nero. Poi, io non so spiegarlo fino in fondo, ma sono successe tante cose, il clima è cambiato, qualche altro contadino ha scoperto la pietra nera in luoghi oltre l’oceano, le persone non sorridevano più. E pian piano presero ad andarsene. Le macchine smisero di ronzare, il carbone rimaneva sepolto tra le erbacce e il sale non brillava più come prima. Mi stavo trasformando in un non luogo, privo di quell’identità che per così tanto tempo avevo sentito mia. A consolarmi, la domenica, c’erano i prati verdi, ventidue giocatori e un pallone. Uno sport, il calcio, vissuto da queste parti come una religione. Vedevo correre Helmut Rahn, con quei capelli sempre in ordine, poi c’era Ernst Kuzurra, lo sguardo in apparenza triste ma che brillava ad ogni gol segnato, e poi Hans Tilkowski, il ragazzo dallo sguardo gentile. Li devo ringraziare tutti per avermi sostenuto e tenuto viva la passione, un attaccamento alla mia terra, senza la quale, forse, ci sarebbe stata una fine. Un ponte, quello da loro sorretto, che portò a una metamorfosi, nacque un’idea. Quella di trasformami, io, la Ruhr, famoso cuore d’acciaio, in un polmone verde, una zona di rinascita; declinare la polvere di carbone in polline, le ferrovie in linee guida, le cattedrali di ferro in tele colorate. Non fu semplice, ma funzionò. Le industrie divennero quartieri creativi, centri culturali, il gasometro un’oasi di stelle e storia, i grandi impianti diedero vita a montagne russe uniche al mondo. Miniere, fabbriche e centrali elettriche cambiarono abito, diventando musei, teatri, cinema. Persino la vecchia salina di Königsborn venne convertita in una sorgente curativa. Ora li vedo, quei volti puliti, visi che non conosco, muoversi lungo la strada del patrimonio industriale lunga 400 chilometri, verde e sorprendente, e qualcuno, di solito a capo del gruppo, parla di me, racconta la storia mineraria della Ruhr, non più sottovoce, le mani si muovono leggere, le dita indicano e spingono verso luoghi unici, i menti su al cielo, sotto un sole che riempie il petto. La Ruhr si trova all'interno dell'ITINERARIO CULTURALE INDUSTRIALE presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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  • Potsdam, arcadia Prussiana
    Jun 25 2024
    Per 375 anni vennero spostate pietre, eletti capomastri e consultati architetti. Per 375 anni occhi si sono ristretti alla luce di candele, hanno analizzato progetti e sono stati poi stropicciati, stanchi, messi a riposo fino all’alba seguente. Per 375 anni, la dinastia degli Hohenzollern ha costruito nella regione del Brandeburgo, e io, Potsdam, sono stata scelta come loro residenza, per questo mi diletto nel conservare i loro capolavori più riusciti: il giardino Siciliano e quello Nordico, l’Orangerie, il grande parco Sanssouci e l’omonimo Palazzo. Tra i miei preferiti, poi, a sud-ovest, lo scrigno neoclassico del Palazzo Charlottenhof, decorato da aiuole, colonnati, fontane e statue dallo sguardo materno. Costruito come maniero barocco, fu regalato a Federico Guglielmo IV dal padre , per il Natale del 1825; egli aveva una visione, ereditata dal bisnonno Federico il Grande, ispirata all’Italia, alla vegetazione mediterranea e allo sfarzo dell’Impero Romano. Si riunì con l’architetto Schinkel e il progettista di giardini Lenné, sei occhi stretti intorno al progetto, e una volta terminato, dopo mille modifiche e aggiunte e cancellature, il via libera: “Ora potete costruire”, disse il sovrano. Prese vita un palazzo pregno di nuova antichità, dove gli androni riprendevano le visioni dei grandi scavi di Pompei ed Ercolano, dove le abitazioni dei facoltosi servirono da ispirazione, come la magnifica Villa Albani di Roma, e che vennero poi circondate da un verde lussureggiante, fatto di geometrie, specchi d’acqua e archi velati di rampicanti. Il fulcro architettonico di quella che verrà poi definita l’Arcadia Prussiana, il complesso di costruzioni e parchi rinominata in onore dell’antica regione greca. Mai avrei pensato poi, che proprio io, Potsdam, avrei avuto il privilegio di vedere delle terme romane! Ma riuscirono, o meglio, Federico Guglielmo IV ci riuscì, a portarle qui da me. Disegnò lui stesso gli schizzi e li fornì a Schinkel, che diede il via alle costruzioni. Pittoresche, controparte del più austero palazzo di Charlottenhof, terme modellate sulle case di campagna italiane del XV secolo. Erme di Dioniso, frammenti di colonne pompeiane, l’antico sarcofago del centauro e decorazioni vegetali lussureggianti, pergolati coperti di viti e tetti a falde piane. Un tripudio creativo che giocava intorno alla storia. Intervista Dott.ssa Franziska Windt: "Fece trasformare la casa del giardiniere sulla riva di un laghetto vicino Charlottenhof in un complesso che doveva ricordare le terme romane. Il complesso ha poco in comune con le terme romane ma i singoli elementi creano comunque un’impressione italiana antica. L’architettura delle terme è solo uno scenario, dietro una sala porticata, comprende un atrio, un impluvium aperto, alto, un caldarium; le pareti sono dipinte in rosso pompeiano e con paesaggi di fantasia meridionale che ricordano il golfo di Napoli. Il pavimento è decorato con copie dei mosaici della casa del fauno di Pompei, e anche il caldarium è decorato con un pavimento piastrellato che cita il famoso mosaico che raffigura la vittoria di Alessandro Magno a Issus nel 333 a.C." E là vicino, poi, poco più a nord, oltre il lago Jungfernsee, la chiesa di Sacrow, chiamata anche del Redentore, che, come una nave, sembra tutt’oggi rimanere ancorata sulla lingua di terra dell’Havel; l’abside che si spinge nel lago come una prua, la facciata di mattoni gialli alternati a strisce di piastrelle azzurre, la grazia e la leggerezza donatagli dal colonnato aperto sui lati. Una chiesa che ricorda quella di Santa Maria in Trastevere, risalente al XII secolo. E questo non era l’edificio preferito del sovrano, l’aveva ammesso. “Cara Potsdam,” mi diceva, “il mio palazzo unirà visioni e radici”. Capii solo dopo, quando lo creò, proprio lì vicino. Il Belvedere di Pfingst berg, con logge che imitano Villa Farnesina, a Trastevere, e torri illuminate dal crepuscolo che, attraverso la luce filtrata da poche nuvole, rendono omaggio alla grande Villa Medici. Intervista Dott.ssa Franziska Windt: "Era intenzione, per esempio, di Federico II di creare una cultura che educasse il popolo. Aveva l’idea della dominanza della ragione, dello sviluppo della ragione, e lui sperava che anche l’arte aiutasse a educare verso la bellezza, educare anche l’emozione, ma in un modo ragionevole, non di passioni." 375 anni, quelli della sua dinastia, gli Hohenzollern, che rivoluzionarono idee e architetture e desideri, lasciando dietro di sé decine di palazzi, castelli e parchi tutt’ora curati, dove i molti occhi stanchi possono ora riposare, sotto la gratitudine di quelli che oggi possono godersi questi patrimoni. Intervista a Dott.ssa Franziska Windt, esperta di dipinti della scuola romantica. Potsdam e Sanssouci si trovano all'interno dell'ITINERARIO ATTIVO presente sul sito ufficiale dell'ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti ...
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  • Potsdam, un dialogo tra corone
    Jun 25 2024
    Un dialogo tra corone, cent’anni e più di parole immaginate, curve impossibili, ritocchi negati, virtù condivise. Da un lato il creatore, onirico nelle sue visioni, il re Grande, Federico II, dall’altra colui che leggeva i sogni e ne valorizzava il contenuto, il re Romantico, Federico Guglielmo IV; e in mezzo io, Potsdam, testimone della loro dinastia, culla d’una bellezza importata da una terra fatta di grandi artisti e saluti calorosi, vigneti utopistici e catene di sorrisi. Proprio con i vigneti comincia questo dialogo, con i quesiti di Federico il Grande, che si chiedeva come realizzare il suo sogno italiano, lui a cui era stata negata la possibilità di visitare quel paese dal padre, ma che ne conosceva angoli e ombre, volti e marmi. Lui stesso progettò le terrazze dedicate alla viticoltura, dove sedeva l’estate in compagnia dei suoi cani, rifugio e riparo nei momenti difficili. Da quella necessità nacque l’idea di Sanssouci, castello e omonimo parco il cui nome, dal francese “senza preoccupazioni”, dettava il leitmotiv voluto dal monarca. Intervista Dott.ssa Franziska Windt: "A Sanssouci Federico sperava in una vita spensierata, in cima alla sua vigna e il suo giardino dove potersi dedicare il più possibile alla letteratura, la filosofia, alla scrittura e alla musica. Il re era un appassionato scrittore, compose poesie, scrisse anche la storia della propria casata, gli Hohenzollern, e mantenne una vasta corrispondenza. Il re era anche molto musicale, suonava ogni giorno il flauto, con una piccola orchestra, solo per il suo piacere e componeva." Pensato come casa del piacere, questo capolavoro del rococò tedesco, completato nel 1747 dal barone e architetto Georg Wenzeslaus von Knobelsdorff, secondo lo stesso Federico II sarebbe dovuto durare tanto quanto la sua vita: fosse crollato col suo ultimo respiro, ne sarebbe stato contento; uno stile, il suo, più sobrio, delicato, elegante, con un vivace linguaggio naturalistico. E qui entra poi, cent’anni dopo, la risposta di Federico Guglielmo IV il Romantico, che fece ampliare gli spazi tra il Palazzo di Sanssouci e il Palazzo Nuovo, intrecciando così il giardino del piacere dell’antenato al parco paesaggistico ideato da Lenné, architetto prussiano tra i più noti, che si trasferì da me, Potsdam, per dare corpo alle visioni del sovrano: un giardino ovale che richiama i modelli italiani del XVI secolo, una cupola con lunetta aperta al centro, che segue il Sant’Andrea al Quirinale di Bernini, ma che in realtà omaggia il Pantheon, il motivo preferito del re nell’architettura antica. Intervista Dott.ssa Franziska Windt: "Nel 19 secolo Federico Guglielmo IV con il suo amore per la cultura italiana seguì le orme del suo antenato ammirato Federico II, anche lui all’inizio si è fatto un’idea dell’Italia attraverso la letteratura e le incisioni. In giovane età lui ha anche cominciato a realizzare disegni di paesaggi fantastici all’italiana e architetture. L’Italia è sempre stata un paese dei suoi sogni." Ma questo era solo l’inizio del progetto, con l’idea che il capolavoro dovesse prendere forma con la Via Triumphalis: una grandiosa strada basata sul modello romano che, lungo il crinale, avrebbe portato da Winzerberg, a est, fino al Belvedere di Federico il Grande, sul Klausberg. Un’idea che non si completò, sfortunatamente, ma dove, nonostante questo, gli sforzi di Lenné e di Federico IV non furono vani: di quel progetto vennero infatti creati tre punti cardini del giardino. Il primo, il Giardino Siciliano, il suo muro della terrazza, le sculture che ricordano la Fontana del Nettuno al Palazzo Barberini di Castel Gandolfo e le piante a rappresentare il clima mediterraneo del sud Italia; il suo corrispettivo e opposto, poi, il Giardino Nordico, dall’altro lato della Via dei Gelsi, con piante sempreverdi e la fresca grotta rocciosa. Infine, riferimento architettonico del giardino, il Palazzo dell’Aranciera, ultimo edificio costruito, con le sue sale delle piante e il palazzo centrale, le sculture, le fontane, i portici e i saloni decorati da copie del Raffaello. “La corona è soltanto un cappello che lascia passare la pioggia”, diceva il filosofo di Sanssouci, Federico il Grande, e io, Potsdam, ho avuto la fortuna di vedere questa ideologia trasmessa alla generazioni successive, raccolta dal nipote Federico Guglielmo IV ed evoluta, tra vigneti e sculture, serre mediterranee e opere d’arte, una semplicità figlia di studi e visioni che mi ha mostrato le vite di altri luoghi, altri occhi, sogni. Intervista a Dott.ssa Franziska Windt, esperta di dipinti della scuola romantica. Potsdam e Sanssouci si trovano all'interno dell'ITINERARIO ATTIVO presente sul sito ufficiale dell'Ente turistico tedesco. Consultalo per idee di viaggio alla scoperta dei siti UNESCO della Germania.
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