E’ il 29 settembre 1981. San Giovanni Gemini, paese arroccato sotto Monte Cammarata, in provincia di Agrigento. Michele, ore di lavoro, una casa, una famiglia che lo aspetta. Il bar è piccolo. Il posto dove chiacchierare un po’ con gli amici, giocare una mezz'ora a briscola e poi il ritorno a casa. Sull’ingresso la figura di Calogero “Gigino” Pizzuto, capo mandamento di Castronovo di Sicilia. Michele non sa nulla di mandamenti, cupole, commissioni provinciali. Lui gioca. Gioca, chiacchiera, ride e pensa a suo figlio Giuseppe che a momenti entrerà da quella porta. Pizzuto si siede. Chiede di giocare a carte. Pizzuto, l’avventore del bar, Pizzuto che vuol fare un giro di mano a briscola. Pizzuto fuori è la mafia. Pizzuto fuori da quella porta è morte, violenza. Michele è nel posto sbagliato, ma lui non lo sa. Così come non lo sa Vincenzo, che guarda chi gioca. Le carte in mano, l’attesa che l’avversario butti sul tavolo la sua. Ma la morte non viaggia mai da sola. Ha tante sorelle a tenerle compagnia. Le sorelle questa volta hanno i volti di Gigi, Calogero, Rosario e Lillo.
Loro sono la mafia. Gigino non lo è più, ma ancora non lo sa. La carta resta sospesa nel vuoto. È un attimo. Il silenzio irreale di quanti erano nel bar, viene interrotto dal crepitare delle armi. Il sangue sporca le carte, il tavolo, il pavimento, le pareti. Il sangue sporca tutto. Tutto, tranne la vita di Gigino che sporca lo era già. Fuori ci sono i curiosi. Dentro, i morti. Calogero “Gigino” Pizzuto, Michele Ciminnisi, Vincenzo Romano. Lontani, al sicuro, i componenti del gruppo di fuoco. Ma la morte non cammina mai da sola e in seguito si porterà via anche le loro vite. Tutti morti ammazzati.
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